MILANO SANREMO Articolo di Andrea Gandolfo

Il personaggio a destra è  Bastianello, il ciclista e animatore del Velodromo della Foce.

Nei primi anni del Novecento il ciclismo fu uno sport molto popolare a Sanremo, dove, nella piazza d’armi davanti a Santa Tecla furono effettuate gare ciclistiche persino con i primi velocipedi, modelli a ruota anteriore enorme. Nell’area attualmente occupata dall’Hotel Morandi alla Foce, venne successivamente  costruito un velodromo realizzato con tavole di legno ad incastro e con curve sopraelevate, per venire incontro alle sempre più pressanti richieste di zone destinate alle due ruote da parte della cittadinanza. Del resto, andare in bicicletta all’inizio del XX secolo non era certo paragonabile a oggi per via delle strade sterrate, i rischi continuamente in agguato, le forature  all’ordine del giorno, la carenza assistenziale durante le gare, mentre, sul fronte motoristico, le auto in circolazione erano ancora molto poche. Nel 1904 un gruppo di appassionati sportivi matuziani fondarono l’Unione Sportiva Sanremese, di cui venne nominato presidente Giovanni Battista Rubino, che tra l’altro avrebbe svolto un ruolo decisivo nella nascita della Milano-Sanremo. Nell’inverno del 1906 il direttore della “Gazzetta dello Sport” Eugenio Camillo Costamagna, che da tempo frequentava la nostra città per alcuni brevi periodi di riposo, aveva appena terminato un avventuroso “tour” su una Marchand con cui era arrivato fino in Sicilia, dove si stava per disputare la prima Targa Florio. Costamagna era anche legato personalmente alla Riviera ligure,  essendo nato a Oneglia nel 1864. Il padre aveva lavorato presso una ditta incaricata della costruzione della tratta ferroviaria Oneglia-Ospedaletti. Nella città natale, dopo aver frequentato il Liceo “De Amicis”, il giovane Costamagna si era impiegato come marinaio a bordo di un veliero. Successivamente si era iscritto alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Appassionato di sport, fin da piccolo si era dedicato a numerose attività agonistiche, tra le quali in particolare il ciclismo. Il 3 aprile 1896 aveva fondato tra l’altro, insieme all’avvocato Eliso Rivera, “La Gazzetta dello Sport”. Era stato anche l’organizzatore della corsa ciclistica Mondovì-Oneglia. Morì nel settembre del 1918 e venne sepolto ad Oneglia. A Sanremo Costamagna cominciò ad avvicinare alcuni dirigenti dell’Unione Sportiva Sanremese per sondare il terreno nella speranza di organizzare una prova di regolarità destinata alle cosiddette “vetturette” (così erano definite le piccole automobili da corsa dell’epoca antesignane delle odierne utilitarie) in due tappe, da Milano ad Aqui Terme, e da quest’ultima località a Sanremo.  Dopo una serie di laboriose trattative, fu raggiunto un accordo per svolgere la corsa il 4 e 5 aprile 1906: l’Amministrazione comunale matuziana avrebbe garantito il sostegno finanziario alla manifestazione, mentre la “Gazzetta” si sarebbe occupata dell’aspetto organizzativo al fine di pubblicizzare l’automobile, che si riteneva avrebbe presto soppiantato la bicicletta come nuovo mezzo di locomozione. La corsa si rivelò però un vero e proprio disastro sotto tutti i punti di vista con soltanto due vetture su trenta che riuscirono a tagliare il traguardo, impiegando per giunta ben due giorni per completare il percorso.      La fine ingloriosa della corsa Milano-Acqui- Sanremo fu peraltro lo spunto per un curioso “concorso della guerra” ossia del pernacchio, organizzato in una notte d’agosto del 1906 da alcuni buontemponi che bazzicavano dalle parti del Caffè Rigolè, il famoso locale alla moda all’angolo tra le odierne via Matteotti e corso Mombello, punto di ritrovo dei politici e degli intellettuali più in vista della città, per mettere “alla berlina” la gara automobilistica fallita clamorosamente. Mentre Costamagna era rimasto molto contrariato per l’esito della corsa delle vetturette e il suo direttore organizzativo era tornato subito a Milano dove la “Gazzetta” stava organizzando un concorso ginnico all’Arena, il banchiere e consigliere comunale Giovanni Battista Rubino (che, come si è detto, era anche presidente dell’Unione Sportiva Sanremese), l’ingegner Stefano Sghirla e il signor Marcello Ameglio, membro di una delle famiglie più abbienti della città, lanciarono l’idea di far disputare una corsa da Milano a Sanremo, non però alle auto, bensì alle biciclette, per dimostrare come le due ruote fossero il mezzo di trasporto più sicuro e veloce rispetto a qualunque altro. I tre si incaricarono quindi di recarsi a Milano per sottoporre la proposta al direttore della “Gazzetta”.  Giunti presso la redazione della “Gazzetta”, Rubino, Sghirla e Ameglio furono ricevuti da Costamagna, che, sulle prime, manifestò però una certa perplessità in merito alla loro proposta, forse anche perché deluso dai risultati della corsa Milano-Acqui-Sanremo, o, più probabilmente, per la mancanza di fondi per sovvenzionare il progetto. Pesavano negativamente anche le pessime condizioni in cui versavano le strade che avrebbero dovuto costituire il percorso della competizione e l’eccessiva lunghezza della gara. Il direttore della “Gazzetta” fece allora presente ai tre sanremesi che, per organizzare la corsa in modo decente, occorrevano “almeno” 700 lire. Per nulla demoralizzati, ma anzi ancor più convinti della bontà del loro progetto, Sghirla, Ameglio e Rubino, una volta rientrati a Sanremo, cominciarono subito a svolgere un’intensa propaganda presso larghi strati della cittadinanza allo scopo di raccogliere nel più breve tempo possibile la cifra richiesta. Grazie alla fattiva collaborazione di numerosi concittadini, tra cui Aristide Godetti, Nuccio Fontanelli, Petrin Capoduro, Giovanni Almerini, Eugenio Pisani, Aldo Roggeri, Carlo Minetti, Giovanni Battista Villa, Italo Scotto, Giobatta Roggeri, Alfredo Crémieux, Piero Perelli, e in particolare del segretario della sezione ciclismo dell’Unione Sportiva Sanremese Pierino Perotti, fu aperta una sottoscrizione con l’obiettivo di raccogliere i soldi necessari per organizzare la manifestazione.   Furono numerosi i sanremesi che risposero entusiasti all’appello aderendo alla sottoscrizione. Andò così che in pochissimi giorni si raggiunse la somma prestabilita, ricorrendo persino al metodo del “porta a porta”. Racimolato il denaro, Rubino, Sghirla e Ameglio tornarono quindi a Milano per consegnare i soldi a Costamagna, che alla fine, pur non senza qualche incertezza, si convinse ad accettare la proposta di organizzare la prima edizione della Milano-Sanremo.  Ai tre “ideatori” della  Classicissima sarebbe stata tra l’altro dedicata una targa collocata sulla facciata principale di “Casa Sghirla” in via Roma, in occasione del centenario della prima edizione della Milano-Sanremo, il 24 marzo 2007.     La direzione tecnica della corsa venne affidata allo stretto collaboratore di Costamagna Armando Cougnet, che ideò anche il percorso della gara tracciandolo su una carta del Touring Club Italiano. Cougnet, il mitico “patron” delle prime edizioni del Giro d’Italia e della “Sanremo”, era nato a Nizza il 20 gennaio 1880. Il padre Alberto era un medico sportivo che dopo essersi laureato in medicina all’Università di Napoli, aveva seguito un corso di perfezionamento in alcune case di cura di Parigi e di Londra. Stabilitosi a Nizza per esercitarvi la professione, dopo il passaggio della città alla Francia, nel 1888 aveva deciso di recarsi con la famiglia a Reggio Emilia, dove il padre Carlo aveva acquistato nel 1880 una residenza privata, la cosiddetta “villa del Zappello” (ora comunale).  Trasferitosi poi a Milano, era stato raggiunto dal figlio, che, una volta assunto in “Gazzetta”, si era stabilito anch’egli definitivamente nel capoluogo lombardo insieme al padre. Nel 1909 Cougnet era stato uno degli organizzatori della prima edizione del Giro d’Italia. Dopo l’intervallo della prima guerra mondiale, durante la quale aveva prestato servizio nella “territoriale”, riprese la guida delle manifestazioni sportive per conto della “Gazzetta”, organizzando il Giro d’Italia ancora per molti anni finché, nel 1947, non avrebbe ceduto il timone della corsa al suo vice Vincenzo Torriani. Abbandonata l’organizzazione delle corse, si sarebbe ancora occupato per un decennio del settore pubblicità per la “Gazzetta”. Morì a Milano all’età di settantanove anni nel 1959. Alla sua memoria è stato istituito il Trofeo “Cougnet”.   Ecco come lo stesso Cougnet ha descritto il suo ruolo nella genesi della Milano-Sanremo in un articolo uscito nei primi anni Cinquanta: «Nel 1905, all’alba dello sviluppo industriale automobilistico, accanto alle macchine da corsa e a quelle turistiche di grossa cilindrata, venivano costruite da ditte minori modeste vetturette per le piccole borse. Queste vetturette si fregiavano dello allettante nome di utilitarie.   Allo scopo di propagandare il nuovo popolare mezzo di locomozione “La Gazzetta dello Sport”, allora diretta da Costamagna ed amministrata dal sottoscritto, in accordo con l’Unione Sportiva Sanremese nelle persone dei dirigenti signori Ameglio, Capoduro, Rubino e ing. Francesco (sic) Sghirla, organizzò la corsa per vetturette: Milano-Acqui-Sanremo. La corsa fu un solenne fiasco.  Le utilitarie impiegarono due giorni per compiere il tragitto, arrivarono al traguardo in pochissimi esemplari e in non buone condizioni. Fu allora che sorse la proposta di trasformare la corsa da automobilistica in ciclistica. L’idea, fugato qualche dubbio, fu subito accolta. Si aprì solamente la carta del Touring Club al 200.000 e si tracciò il percorso che in meno di trecento chilometri congiungeva Milano a Sanremo attraverso Ovada e Voltri col Passo del Turchino, e nella primavera del 1907 lanciammo il bando internazionale della prima Corsa al Sole. A quell’epoca non c’era in noi nessuna  speranza e tanto meno si era convinti che la competizione dovesse incontrare quella fortuna che poi la fece proclamare la prima corsa al mondo.  Ma la Milano-Sanremo conteneva in sé un grande potenziale di sviluppo che la fece progredire di anno in anno. Fu essa a crearsi il successo dal suo debutto, caratterizzato dalla partecipazione dei migliori corridori francesi e belgi in rappresentanza delle due maggiori Case: la Peugeot e l’Alcyon, che allora dominavano il mercato e l’arengo agonistico».  Raggiunto l’accordo tra la “Gazzetta”, che avrebbe curato l’organizzazione della corsa fino alla periferia di Sanremo, e l’Unione Sportiva Sanremese, che sarebbe stata unica responsabile della manifestazione dal punto di vista logistico nel territorio comunale matuziano (secondo una formula che sarebbe rimasta praticamente invariata sino alla fine degli anni Sessanta), Ameglio, Rubino e Sghirla, ma in particolare quest’ultimo, chiesero altre garanzie, tra cui soprattutto la partecipazione alla competizione di qualche importante corridore straniero. Costamagna e Cougnet affidarono poi al giornalista sportivo A.C. Rossini l’incarico di gestire parte dell’allestimento del percorso e curare i rapporti con i dirigenti dell’Unione Sportiva Sanremese e del Veloce Club Ligure, che avrebbe seguito la gestione della competizione dal Turchino ad Arenzano. L’ingegner Sghirla continuava intanto a insistere sul tasto degli stranieri, mentre Cougnet perfezionava ulteriormente la macchina dell’organizzazione e Costamagna si persuadeva definitivamente della straordinaria importanza della nuova corsa.  Nel frattempo Rossini era infaticabile nel mettere a punto la macchina dell’organizzazione: per il transito sul ponte di barche del Po contrattò l’importo del passaggio per quanti corridori si calcolava sarebbero passati, senza costringerli a doversi fermare per un controllo. Chiese inoltre al sindaco di Ovada di organizzare un “rifornimento” al passaggio dei ciclisti e quest’ultimo si affrettò a convocare i rappresentanti delle società sportive locali per fare in modo di soddisfare la sua richiesta; curò infine i minimi dettagli affinché tutto filasse liscio nel tratto da Novi Ligure a Ovada, una zona allora del tutto inedita per le competizioni ciclistiche. Rossini si diede anche molto da fare per assicurare alla corsa i nomi più prestigiosi del ciclismo internazionale, recandosi pure all’estero per “ingaggiare” i più grandi campioni del pedale. Mezzo secolo dopo la prima “Sanremo”, così egli stesso avrebbe ricordato le sue “mosse” qualche mese prima dell’inizio della gara: «In una mattinata di fine febbraio, quando fui sicuro che i migliori stranieri si erano trasferiti sulla Costa Azzurra per gli allenamenti, mi portai a Nizza e trovai un gruppetto di corridori capeggiati da Petit-Breton e Trousselier in un bar presso la stazione nel quale usavano gustare l’aperitivo prima di colazione… Petit-Breton a nome dei colleghi mi pregò di trovargli un aiuto presso qualche buona Casa italiana…  Due giorni più tardi Tommaselli per la Bianchi entrava in trattative dirette e in pochi giorni si assicurava le loro firme.    I rappresentanti di Peugeot in Italia, i torinesi fratelli Picena, non si lasciarono sfuggire l’occasione di allineare un paio di corridori della loro rappresentata. La scelta cadde sul modesto ma tenace Philippe Pautrat e sul promettentissimo Gustave Garrigou…  In tal guisa, anche l’internazionalità della prova era assicurata; superate così anche le ultime difficoltà di natura organizzativa, alle 4,30 di mattina di domenica 14 aprile 1907, presso l’Osteria Conca Fallata nei sobborghi meridionali di Milano lungo il Naviglio Pavese, appena fuori Porta Genova, in una giornata peraltro piuttosto fredda e piovosa, si diedero  appuntamento i corridori per la partenza della corsa. Ma dei 62 iscritti alla gara se ne presentarono soltanto 33, avendo le case affidato a molti ciclisti compiti di assistenza lungo il tragitto. Tra i campioni presenti si segnalava, per i colori della Bianchi, il detentore del record dell’ora e vincitore dell’ultima Parigi-Tours Lucien Georges Mazan, detto “Petit-Breton”, ossia il “piccolo bretone”, nato in Bretagna ma vissuto per alcuni anni in Argentina. Pochi mesi dopo la prima Milano-Sanremo Petit-Breton avrebbe vinto anche il Tour de France (impresa ripetuta l’anno successivo) per finire i suoi giorni il 20 dicembre 1917 in seguito alle ferite riportate in un combattimento sul fronte delle Ardenne nel corso della prima guerra mondiale. Tra gli altri assi del pedale al via della prima Classicissima vi erano Louis Trousselier, trionfatore al Tour de France del 1905 (anche lui della scuderia Bianchi); Giovanni Gerbi, soprannominato il “diavolo rosso” e il più popolare corridore italiano dell’epoca, ingaggiato anch’egli dalla Bianchi; il velocista e primo campione d’Italia Giovanni Cuniolo; il francese Gustave Garrigou, che correva per la Peugeot; l’altro francese Phillippe Pautrat, anche lui in maglia Peugeot; Luigi Ganna, che avrebbe vinto la prima edizione del Giro d’Italia; e poi, tra gli altri, Carlo Galetti, Mario Lonati, Clemente Canepari, Pierino Albini, Romeo Molteni, Eberardo Pavesi e Giovanni Rossignoli, al quale la madre avrebbe addirittura passato un ombrello mentre la carovana della corsa transitava vicino a Pavia, arrabbiandosi quando vide che egli si rifiutò di aprirlo. A pochi giorni dalla partenza, Petit-Breton, giunto a Milano in treno direttamente da Parigi insieme a Trousselier, si era fatto accompagnare personalmente dal direttore generale della Bianchi Gian Fernando Tommaselli presso la sede della fabbrica in viale Abruzzi, per chiedere espressamente che, durante la gara che stava per cominciare, venissero montati sulla sua bici e su quella del suo compagno due manubri assolutamente identici. I tecnici della Bianchi assicurarono quindi il campione francese che avrebbero soddisfatto puntualmente la sua richiesta.  Sotto una pioggia battente e con le strade al limite della praticabilità, alle 5,17 si abbassò quindi la bandierina dello start. Fin dai primi chilometri cominciò la selezione dei concorrenti, tanto che già al controllo di Pavia al comando della corsa vi erano dodici corridori, tra cui quasi tutti i favoriti. A  Casteggio sarebbero però rimasti in testa soltanto in otto: Petit-Breton, Gerbi, Ganna, Cuniolo, Galetti, Garrigou, Trousselier e Canepari, mentre si registrava il primo ritiro della competizione, quello di Travaglini. La corsa cominciò a vivacizzarsi a Pozzolo Formigaro lungo un viale dal selciato  particolarmente irregolare nei pressi della chiesa del paese: qui Gerbi, che aveva studiato attentamente il percorso della gara in allenamento, sfruttando un lato della carreggiata in terra battuta che gli consentì di sviluppare una grande velocità, staccò per qualche centinaio di metri i suoi rivali e iniziò una fuga solitaria. A Novi aveva già un vantaggio di più di un minuto, saliti a quattro ad Ovada, mentre Trousselier rovinava a terra ferendosi a una gamba, ma si rialzava subito proseguendo la gara. Sul Turchino, dove intanto la fitta pioggia si era trasformata in una specie di nevischio, Gerbi manteneva ancora la guida della corsa, transitandovi alle 10,41 a tre minuti da Ganna, Galetti e Garrigou, che avevano ormai distanziato di due minuti un Petit- Breton da un’inattesa foratura. Dietro all’asso bretone si era intanto creato il vuoto: Cuniolo lamentava infatti un distacco di 22 minuti, Canepari e Albini di quasi mezz’ora, mentre Galetti incespicava e perdeva terreno, affiancandosi a Garrigou.  Gerbi, intanto, dopo aver affrontato sempre in testa le due piccole salite della Colletta e dei Piani di Invrea, veniva raggiunto nei pressi di Savona dall’incombente   , scortato dai fratelli savonesi Mistretta, che vennero anche insultati da alcuni astanti per questa loro “collaborazione”. Alla vista del francese, il corridore italiano sembrò rassegnarsi, ma si riprese quando il direttore della sua squadra Tommaselli gli comunicò che Petit-Breton si stava avvicinando. Il “diavolo rosso” si mise quindi alla ruota di  Garrigou aspettando il rientro del suo compagno della Bianchi, che difatti si poneva alla testa della corsa nella discesa di Capo Berta, quando mancavano soltanto venticinque chilometri al traguardo.  I tre cominciarono allora a rallentare e a discutere tra di loro cercando un accordo per la divisione dei premi. Gerbi, cui avevano promesso 2,50 lire al chilometro in caso di vittoria, propose a Petit-Breton di dividere a metà il montepremi in cambio di un “favore” nella fase finale della corsa che gli consentisse di vincere la gara, e il francese, senza pensarci troppo, accettò la proposta dell’italiano. Dopo una serie di allunghi, sempre efficacemente contrastati da Garrigou, si giunse così all’ultimo chilometro della corsa con i tre sempre al comando.     A questo punto scattò il piano concordato tra Petit-Breton e Gerbi. A circa ottocento metri dal traguardo, sormontato da uno striscione con i colori biancazzurri dell’Unione Sportiva Sanremese e lo stemma del Comune di Sanremo, posto più o meno all’altezza del vecchio parco delle Carmelitane davanti all’ex Hotel Vittoria Roma (dove sarebbe rimasto fino al 1948), Gerbi sbilanciò Garrigou afferrandolo per il collo e spingendolo su una cunetta. Petit-Breton, che, montava un cambio 44×18, ebbe così modo di lanciarsi tranquillamente verso il traguardo vincendo la corsa con un minuto di vantaggio su Gerbi, che ebbe pure il coraggio di fingere una volata. Il francese tagliò il traguardo di corso Cavallotti alle 16,22 dopo 11 ore, 4 minuti e 15 secondi dalla partenza e 288 chilometri coperti alla media di 26,015 km all’ora (per l’epoca piuttosto elevata). La giuria avrebbe peraltro sospeso in un primo tempo la vittoria di Petit-Breton su reclamo di Garrigou, ma poi, respinto il ricorso di quest’ultimo, avrebbe convalidato il primo posto del bretone. Cinque giorni dopo la giuria avrebbe poi retrocesso Gerbi dal secondo al terzo posto per “sprint irregolare”, fatto che non avrebbe tuttavia impedito al corridore astigiano di incassare lo stesso le 70 lire del premio (contro le 300 spettanti al primo classificato e le 150 per il secondo), oltre alle 2.145 lire concordate con Petit-Breton.  La giuria avrebbe peraltro sospeso in un primo tempo la vittoria di Petit-Breton su reclamo di Garrigou, ma poi, respinto il ricorso di quest’ultimo, avrebbe convalidato il primo posto del bretone. Cinque giorni dopo la giuria avrebbe poi retrocesso Gerbi dal secondo al terzo posto per “sprint irregolare”, fatto che non avrebbe tuttavia impedito al corridore astigiano di incassare lo stesso le 70 lire del premio (contro le 300 spettanti al primo classificato e le 150 per il secondo), oltre alle 2.145 lire concordate con Petit-Breton.

Siamo nel dopoguerra, nel 1950: il primo Anno Santo della pace finalmente ritrovata. Gino Bartali, noto anche per la sua Fede non poteva non santificarlo, dominando, con una splendida ed inaspettata volata il gruppone.

 

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