Milva Maria Ilva Biolcati, detta Milva e ribattezzata la “Pantera di Goro” per completare il “tris zoologico” di appellativi che appassionava l’Italia dell’epoca (insieme a Mina, detta la Tigre di Cremona e Iva Zanicchi alias Aquila di Ligonchio), inizia presto la sua carriera canora. Nata in un piccolo paese sul delta del Po, in provincia di Ferrara studiò canto a Bologna, dove si era trasferita nel 1955 con la famiglia; il suo primo nome d’arte é stato Sabrina nel periodo in cui si esibisce nei locali notturni. Nel 1959 vince un grande concorso per voci nuove indetto dalla RAI e, nel 1960, negli ambienti della canzone si comincia a parlare di lei con interesse. Proiettata al festival di Sanremo nel 1961, arriva terza con la canzone “Il mare nel cassetto”, brano nel quale ha modo di rivelare le sue eccezionali doti vocali. A proposito di quell’edizione del Festival, è ormai alle cronache il gestaccio di rivalsa indirizzatole da Betty Curtis, che si era piazzata meglio. L’anno dopo, Milva sarà protagonista di un altro episodio di cronaca relativo al Festival e legato al suo mancato ingresso nella terna dei vincenti (ingresso dato per scontato da tutta la stampa specializzata del periodo); disattesa questa aspettativa, infatti, delusa per il mancato successo, Milva si lascerà andare a dichiarazioni avventate, come quella in cui giurava che non avrebbe più messo piede sul palco dell’Ariston, cosa che invece, puntualmente, non accadde (per la gioia dei fans). Anzi, sarà ospite fissa per i successivi dieci anni. Nel 1961 viene segnalata dalla critica discografica come “cantante dell’anno”. Sempre nel 1961 debutta al cinema con il film “La bellezza d’Ippolita”, al fianco di Gina Lollobrigida. Anche in questo caso, si scatenano le cronache per le, giustificate, ripicche della rossa di Goro. Tutti infatti parlarono delle calze nere a rete e delle penne di struzzo della Lollo, senza mai citare il contributo di Milva. Ecco allora un “bailamme” di dichiarazioni, di smentite e così via. Nel 1962 intraprende la sua prima tournée all’estero, assai lusinghiera, sia in termini di critica che di pubblico. Il successo è tale che viene ospitata all'”Olimpia” di Parigi. In quegli anni celebre è la rivalità, più che altro montata ad arte dai giornali, con la altre due primedonne della canzone italiana: Mina e Ornella Vanoni. D’altronde, alcuni “botta e risposta” artistici lasciano intravedere in controluce una qualche forma di competizione. Ad esempio, se la Vanoni era solita cantare storie di disperazione a sfondo malavitoso, anche Milva non si lasci sfuggire l’occasione per intonare canzoni di libertà, storie di vita vissuta proletaria o brani tratti dal repertorio folk (spesso in coppia con Arnoldo Foà). Inoltre, affronta testi desunti dal patrimonio degli spirituals in stile afroamericano, gospels di spiccata intonazione sociale e religiosa e canzoni di protesta, in cui il testo assume un significato preciso di rivendicazione anche politica ed esistenziale. Sui giornali, però, le malignità sul suo conto si sprecano: qualcuno arriverà a sostenere che la diva ha sostenuto un intervento di chirurgia plastica per farsi ridurre le dimensioni della sua grande bocca! Nel 1965 inizia a lavorare in teatro con Giorgio Strehler, diventando col tempo una delle più accreditate interpreti del repertorio brechtiano, traguardo assai difficile per un’artista italiana, visto il rapporto d’elezione che le cantanti tedesche da sempre avevano con questo repertorio. Eppure, Milva riesce nella difficilissima impresa non solo di farsi apprezzare in Germania, ma anche di diventare un punto di riferimento, soppiantando altre, apparentemente più accreditate interpreti. La prima incisione discografica, che sancisce l’esordio di una lunga e luminosa carriera artistica, è già emblematica e rivela una precisa scelta “di tendenza”: si tratta di un brano di straordinaria intensità e suggestione che appartiene al glorioso patrimonio di Edith Piaf, simbolo dell’identità nazionale francese, ossia la versione italiana di “Milord”, scritto dalla grande pianista Marguerite Monnot sui versi neo-realistici di Georges Moustaki Milva però non ha mai perso i contatti con il pubblico più vasto e meno elitario della televisione.
Non disdegna infatti di comparire nei più popolari spettacoli per il piccolo schermo, ammaliando ad ogni apparizione gli incolti come i più sofisticati intenditori. Gradualmente, però, Milva si allontana dal repertorio della musica leggera per immergersi sempre di più nell’esplorazione di partiture “di nicchia”, legate in particolar modo all’esperienza teatrale. Nascono in questo modo i suoi più celebri ed apprezzati dischi, diffusi come sempre nella più “colta” e preparata Germania. Sandro Bolchi scriverà, a proposito della sua voce che: “ricorda il tuono, con i suoi colori neri e fondi, che evocano la notte”. Nel 1967, al Piccolo Teatro di Milano, Milva debutta con il recital “Io, Bertolt Brecht”, al fianco di Strehler, regista e attore, guida e protagonista. L’anno seguente la vede impegnata in una nuova, difficile prova, che conferma la duttilità del suo carattere artistico e la sua capacità di muoversi con disinvoltura ed eleganza in un ampio orizzonte di generi e di forme espressive. Ma, nel ’73, si consuma un altro evento decisivo per la maturazione artistica e professionale di Milva: il memorabile allestimento dell’ “Opera da tre soldi” di Brecht, dovuto al genio inventivo di Strehler, da sempre attento alla valorizzazione e alla diffusione del prezioso patrimonio brechtiano, in Italia e in Europa. Milva sarà una straordinaria Jenny delle Spelonche, accanto a Domenico Modugno, che indosserà i panni di Mackie Messer. Il 1978 è l’anno dell’incontro con Mikis Theodorakis, uno dei massimi esponenti della musica colta contemporanea, capace di coniugare l’impronta popolare mediterranea al trattamento orchestrale tipico della musica occidentale. Milva, poi, inaugura una nuova stagione, attraverso la collaborazione con poeti prestigiosi e impegnati, in senso etico-sociale, come Eleftheriou, Livaditis e Kampanelis, Theodorakis (condannato all’esilio dalla dittatura greca). Per quest’opera riceve, in Germania, il disco di platino, per l’enorme successo di vendite conseguito. Da non dimenticare, infine, le incursioni di Milva nel repertorio colto, in particolar modo la collaborazione con Luciano Berio, uno dei più celebri compositori d’avanguardia capace di mescolare dodecafonia e musica elettronica, citazioni popolari e sofisticate rielaborazioni di materiali malheriani. Il sodalizio con Berio è altamente significativo e conduce Milva ad affrontare anche testi di Italo Calvino. Berio, infatti, le affida un ruolo di primo piano nella sua opera “La Vera Storia” (tratta proprio da Calvino), che, dopo essere stata rappresentata alla Scala di Milano, viene ospitata anche dall’Opéra di Parigi, dal Maggio Musicale Fiorentino, dall’Opera di Amsterdam, dall’Accademia di Santa Cecilia a Roma e, successivamente, dalla Royal Festival Hall, a Londra. In conclusione, riassumere tutte le realizzazioni artistiche di Milva è quasi impossibile, tale e tanto è l’impegno profuso nelle più svariate direzioni (vi sarebbero ancora da citare, insieme a tantissime altre, le collaborazioni con Peter Brook e il ruolo di interprete privilegiata dei tanghi Astor Piazzolla, ruolo che si è saputa ritagliare in questi anni). Stesso discorso vale per gli innumerevoli premi ottenuti
0 commenti