Fu deciso a Sanremo subito dopo il trapasso e si costituì all’uopo un Comitato nazionale e locale. Lo scultore Pasquali, (autore del monumento ai Caduti, demolito per contingenze belliche), aveva rilevato la maschera dello Scomparso e si iniziò la raccolta dei fondi. L’opera si deve allo scultore Leonardo Bistolfi che del Raimondo era anche fraterno amico; accettò con entusiasmo, ma dati i suoi moltissimi impegni non poté iniziare l’opera con altrettanta sollecitudine. Gli eventi politici che ritardarono l’inaugurazione sono noti. Il monumento, di cui diamo, nella fotografia, un dettaglio, é costituito da una base che fa da arengario; reca leggende semplicissime e non porta bassorilievi. Si e molto discusso sulla località ove situarlo ed e prevalsa l’opinione di porlo di fronte al mare che egli tanto amava, prescegliendone il Lido per le sue passeggiate serotine quando, lasciato lo studio, infissi i pollici negli archi ascellari del panciotto, “Virginia” fra i denti, soleva tenere con gli amici più cari indimenticabili colloqui in cui, i protagonisti delle sue letture, della sua assistenza forense, dei suoi incontri politici, venivano stagliati con lo stesso rilievo con cui Victor Hugo e Guy de Maupassant hanno tratteggiato i loro personaggi
In una vecchia lettera, ormai ingiallita, Leonardo Bistolfi scriveva nel 1921 a chi era allora Presidente del Comitato per le onoranze ad Orazio Raimondo: “Mi conforta vivamente il sapere raggiunta la possibilità di realizzare il voto che il Comitato mi ha affidato…”. Dovevano tuttavia trascorrere quaranta anni prima che questo voto fosse adempiuto: ne il Bistolfi potrà vedere la realizzazione della sua opera, ne molti tra gli amici e tra gli avversari di Orazio Raimondo potranno, con pari commozione, rinnovare oggi il tributo di quella solidarietà che, al di sopra della lotta, unisce per l’onestà dei mezzi e la comune carità di Patria. L’uomo di parte fu soprattutto un incompreso. Di Lui si può giustamente dire quello che si legge nel libro di un principe del Foro di Parigi. Scrive l’avvocato Maurice Garçon: “L’oratore non deve in alcun modo cercare l’approvazione adottando la opinione, fosse pure legittima in apparenza, della massa da convincere, se ha scoperto la falsità di questa opinione”. Per questo é titolo d’onore, per Orazio Raimondo, l’ira incontrollata della folla più del trionfo che sarebbe stato tanto più facile in talune memorabili circostanze in cui la folla voleva, come sempre, un uomo che esprimesse soltanto le sue passioni. Il paragone con cui lo si volle avvicinare a Danton ed a Mirabeau ha valore più ancora che per le qualità di tribuno, per l’inarrivabile coraggio ed il senso di responsabilità che caratterizza le decisioni salienti della sua attività politica. I valori morali durano oltre la fine della vita: e si comprende come, per questo, si siano avute, da qualche parte, reticenze e silenzi verso l’uomo, e persino verso il bronzo che lo ricorda, manifestazioni meschine, talvolta di irriducibili complessi di inferiorità. Per testimonianza di colleghi, l’avvocato é morto povero: ma è morto povero come Enrico De Nicola, quando la povertà è soltanto il banco di prova di una etica professionale che esige virtù eroiche perché il successo si identifichi sempre con l’affermazione della giustizia. Certamente e facile per coloro che credono the la professione dell’avvocato sia fatta di parole, pensare a tutto questo con sincera incredulità. Il gran pubblico, si legge nei testo stenografico dell’arringa per Maria Tiepolo “non si preoccupo di sapere se vi è, al di la di quelle sbarre di ferro una colpevole o una innocente;… il pubblico si appassiona morbosamente ad un’altra ricerca che è ancora più spietata e più omicida: sapere se si scoprono finalmente le fila dello scandalo, sapere se colei che fu chiamata contessa… ha giaciuto nel talamo col giovane attendente del capitano”. E’ per simili constatazioni che Enrico Altavilla, scrivendo della professione dell’avvocato, osserva che “quello che colpisce la pubblica opinione è la malleabilità morale e la duttilità intellettuale con cui gli avocano possono sostenere qualunque tesi e quello che la preoccupa è il pericolo che essi possano, con il loro fascino, sovvertire il buon diritto in favore di pericolosi criminali”. Gli uomini in genere sanno ma solo perché credono di saperlo, che cosa divida il bene dal male: essi, in realtà, non si pongono neppure il problema ed il loro pensiero e la spuma sull’onda della passione ed ignora il tormento di una coscienza al limite delle possibilità umane. Ma la coscienza degli umili ha intuito vagamente tutto ciò ed ha, da molti anni, eretto un monumento forse più duraturo del bronzo a di significato più immediato, più profondo, più veritiero; un monumento che trascende le intuizioni dell’arte e la nobiltà delle iniziative: esso è tutto in una parola con la cui semplicità affettuosa il popolo sanremese ha sempre, così nominandolo, inconsapevolmente onorato questo suo grande figlio: Orazio ». Sagittarius
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