Sul Corriere della Riviera di mercoledì 17 febbraio 1960, e sugli altri giornali locali , compresi i quotidiani con pagina locale, apparve la notizia dell’inaugurazione di una statua dedicata ad Orazio Raimondo. L’articolo in questione, redatto personalmente dal direttore Nino Bobba, è una completa, fraterna ed appassionata commemorazione delle “Opere ed i giorni” vissuti da Orazio Raimondo e sull’ “Ombra sua che torna” come si legge nel sottotitolo.
Orazio Raimondo nacque in Sanremo il 5 giugno 1815. Dal padre Stefano, bravo avvocato, sorbì la memoria prodigiosa e 1’amore per to studio del Giure: dalla madre, che adorò e per la quale visse, la grazia e la dolcezza. Nel campo degli studi fu “enfant prodige”. A sei anni aveva compiuto le elementari, ad undici il ginnasio ed a quattordici lasciava brillantemente il Liceo Cassini per 1’Università di Genova, ove si laureò appena diciottenne; a vent’anni iniziava 1’esercizio della professione. Giovanissimo aveva aderito al nascente movimento socialista, convinto e rapito dall’ azione che Filippo Turati, proveniente dalla democrazia radicale, cosi enunciava: “Le forze popolari sorgono a preparare nel più efficace modo la redenzione del quarto Stato”. Pensava necessarie la lotta per la conquista dei poteri pubblici per trasformarli da strumenti di oppressione e di sfruttamento, in istrumenti di espropriazione economica e politica della classe dominante; vi era, in questa sua impostazione il germe del riformismo e della eterodossia marxista. Nel 1893, appena diciottenne, é già colpito da sanzioni di polizia ed avviato “a domicilio coatto” a Tortona; la sede non e ingrata e -la si deve force ad un intervento moderatore dello zio onorevole Biancheri, allora Presidente della Camera dei deputati. Se ne va, quindi, a diffondere il verbo del socialismo che Garibaldi aveva appena definito “Sole dell’avvenire” fra le plebi del tortonese. Curioso particolare: a sostituirlo nell’azione socialista arriva a Sanremo, perché assegnatovi a domicilio coatto, il Modigliani. Ingenuità della polizia dell’epoca… A ventitré anni viene iniziato massone. Sono gli anni della sua preparazione storica, filosofica e letteraria. Studia sui testi originali Cicerone, Sallustio, Orazio, San Girolamo e gli Evangelisti; diranno poi i maligni che guarda Cicerone attraverso Boissier, San Girolamo nello specchio di Voltaire e Cristo attraverso Renan. La sua alimentazione spirituale quotidiana é costituita da Montaigne che lo invita alla meditazione, da La Fontaine, che gli insegna la grazia dell’apologo, da Larochefoucauld che gli suggerisce il periodo dovizioso e talvolta ridondante, da Champfort da cui trae talune finezze per la polemica. In Rabelais trova un ritratto di se stesso « Le voyant estudier et profiter, eussiez dit que tel estoit son esprit entre les livres comme est le feu parmy les brandes, tant il l’avoit infatiquable et strident ». Si orna cosi di una coltura tipicamente francese: Victor Hugo, Zola, Taine, Anatole France sono i compagni delle sue giornate. E le sue notti ! Quattro toscani, uno scialle sulle spalle e sotto gli occhi un librone di Schuré, intermediario di fantasiosi colloqui con i grandi iniziati Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo, Pitagora, Platone e Cristo; ne invocherà qualcuno chiedendogli il miracolo, poi ottenuto, nella perorazione per l’assoluzione di Maria Tiepolo.
Ha il tempo di irrobustirsi nella preparazione professionale; sfoglia i massimari, ma risale alle fonti del diritto con logica profonda. Collateralmente scrive sul Pensiero di Sanremo che era allora la tribuna di Augusto Mombello, fonda La Parola Socialista e se la scrive tutta. Guida la minoranza in Comune, diventa Sindaco e lo fa esemplarmente per poco tempo, ma non accetta la candidatura politica per un riguardo allo zio on. Biancheri, deputato a Ventimiglia. Comincia a raggiungere ottima fama come penalista. In tutti i processi politici é alla sbarra; difende o accusa amministrazioni di ogni genere e di ogni colore, assiste Garaventa nel processo contro Il Corriere di Genova ed in conseguenza, ammirato del suo stile, Luigi Albertini, lo invoca suo difensore in una gravissima causa per diffamazione a mezzo stampa, intentata al Corriere della Sera. Comincia a frequentare come civilista la Cassazione ed affascina i giudici; ma non dimentica la passione letteraria. Si ricorda di quella epoca la celebrazione di Victor Hugo, uno studio su Massimo Gorki ed una conferenza alla Università Popolare su Giuliano 1’Apostata di cui ricostituisce la personalità austera, indomita, spartana, dipartendosi, da Montaigne di cui sviluppa il saggio. Parla a Milano, a Torino, in Francia. Il Caffaro scrive: “può salire tutte le cime”; Sulliotti sul Secolo XIX aggiunge: “Ascoltarlo, una festa dell’intelletto”. Dopo gli insuccessi della candidatura politica nel 1908 e del 1909 si presenta nella pienezza delle sue forze nel 1913. Battaglia vigorosissima con una serie di comizi, che gli anziani ancora ricordano come manifestazioni altissime di oratoria politica, persuade, entusiasma, sconvolge gli uditori che sempre si accrescono e viene eletto deputato del Collegio di Sanremo – Ventimiglia. La vittoria fa prorompere l’entusiasmo: Sanremo plaudente gli offre una enorme corbeille di garofani rossi. Tiene tutta la strada ed occorrono i cavalli per trainarla. Alla Camera dei deputati tocca la vetta della gloria con 1’indimenticabile discorso su “L’indirizzo di risposta al discorso della Corona”. Si rivela 1’oratore altissimo che i giornali di allora paragonarono a Mirabeau e non solo per la bruttezza fisica; il suo discorso esprime pero più chiara 1’eresia riformista insita nel socialismo raimondiano. In quella epoca Maria Oggioni, nata contessa Tiepolo e moglie di un ufficiale, uccide il suo attendente Attilio Polimanti, romagnolo, di famiglia socialista. Il Partito non vuol perdere l’occasione per battersi, pubblicamente e demagogicamente, contro la casta dei nobili e dei militari. Mussolini, direttore dell’Avanti e romagnolo come i Polimanti, sollecita da Raimondo l’assistenza alla Parte Civile. Orazio risponde: “Sono anzitutto avvocato e difendo la contessa Tiepolo. Confido nella sua assolutoria”. Un vero e proprio scontro che cerca invano di attutire. Fa scrivere dalla Parola, il 16 novembre del 1913: “Una cosa sola ci preme dire: il traviamento dell’opinione pubblica per colpa dell’indecente contegno della stampa quotidiana, ed un po’ anche per montatura politica, é giunto a tal punto che parecchi si dolgono pel fatto the Orazio Raimondo abbia assunto la difesa della signora Oggioni. Alle persone di mala fede nulla opponiamo: alle altre facciamo solo osservare che gli avvocati che esercitano la professione nel campo penale – forzatamente – debbono avere per clienti gli eroi dal grimaldello o quelli dal revolver. Ed il ministero dell’avvocato soprattutto nei casi gravi come l’attuale, é cosi sacro che solo gli incoscienti possono ciarlarne con leggerezza ad irridere a quel sentimento di elevata pietà che consiglia l’avvocato a non negare il conforto dell’assistenza sua a chi lo chiede in giorno di tristezza e di angoscia”.
LO SCONTRO CON MUSSOLINI
Alla parte civile il Partito manderà un altro grande avvocato socialista e bordigotto: Francesco Rossi. Alla fine di aprile dal 1919, al congresso socialista ad Ancona, Mussolini vuol purgare il partito e si allea con Mazzoni. I suoi slogan sono per affermare la incompatibilità dei massoni: “II Partito non e una vetrina per gli uomini illustri”. Oppure “Perderemo le teste ma ci rimarranno i corpi”. E’ la frattura e Raimondo esce dal partito; ne sarebbe comunque uscito poco dopo, al momento in cui le armate d’Italia passavano il confine austriaco per rivendicare Trento e Trieste. Del processo Tiepolo e dal conseguente suo personale trionfo si parla altrove in questo stesso giornale. Nel 1917 Raimondo é un ufficiale male infagottato. Va in Russia in missione con Arturo Labriola ed Innocenzo Cappa; incontra Kerenski e conosce Lwffe ne riferirà sulle piazze d’Italia. Parla per i prestiti con successo pieno e commovente a Milano ed a Torino. Rifiuta di far parte della commissione internazionale per l’accertamento delle responsabilità, della guerra e diventa invece segretario e, come relatore, responsabile ad altissimo livello della Commissione di inchiesta su Caporetto; sono suoi consiglieri Scialoia e Paolo Emilio Bensa. A Parigi incontra Clemenceau; gli avvocati principi organizzano una sua conferenza che egli comincia sommessamente in tono dimesso; a poco a poco si scalda ed incanta per un’ora e mezza un pubblico oltremodo esigente il quale non riesce e rendersi conto come un oratore squisitamente italiano possa improvvisare in francese con lo stile e la parlata di Victor Hugo. Moro Giafferi lo abbraccia commosso e nasce d’impeto tra loro una fraterna amicizia. La guerra e conchiusa ed Egli riprende la lotta politica. Nel 1919 fonda a Genova L’Azione alla quale da subito un alto tono. Si stringono accanto a lui Mario Ferrara, Gino Bandini, Arnoni, Alojsio, Matteini, Fornari, Quadrotta. Il 24 Ottobre, in piena campagna elettorale, viene aggredito a Palazzo Ducale di Genova e gli si contende il diritto di parlare. Se lo conquista con un apostrofe sdegnosa che ammutolisce la canea: “Non siete partito siete teppa”. Si guadagnerà, subito dopo, l’applauso affermando: “Forse ho tradito il Partito, ma non ho mai tradito la Patria”. La campagna si chiude a Sanremo con una pagina triste di rissosa faziosità. Parla al Principe Amedeo e nel suo discorso, concreto e positivo, traccia un piano per lo sfruttamento turistico della Riviera di Ponente e per il potenziamento della sua floricultura che é ancora oggi di piena attualità. Chiude la magnifica orazione con una frase mesta, pronunciata in sordina nella quale si annida, forse non inconsciamente, il senso della fine ormai lontana: “Gli anni passano veloci, ma l’uomo politico può solo appellarsi alla posterità”. Vediamo ancora il gesto del l distacco affettuoso col quale si congeda dal pubblico che, dopo avere manifestato il suo dissenso all’inizio, plaude infine, commosso, freneticamente. Non è più la vittoria romantica ed entusiastica del 1913. E’ un successo veramente personale che lo contrista. L’ 11dicembre va a Palermo per difendere l’avvocato Salvatore Andò contro Antonio Alfano. Ad un amico che l’ aveva incontrato partendo alla stazione manifestò la sua mancanza di ogni entusiasmo; disse: “Vado per far bollire la pentola”. Pronunciò, tuttavia, un’arringa memorabile: l’ultima. Per Natale venne a Sanremo vicino a sua madre sofferente, vi rimase anche per il Capo d’Anno.
Il gruppo dei Socialisti sanremesi con Orazio Raimondo (il secondo da sin in alto) con la copia dell’AVANTI.Rilesse, nel testo originale, il “Miles Gloriosus” di Plauto. L’11 gennaio, senza essersi risollevato si spegneva. Fu il lutto di. Sanremo, di Genova, della Liguria, d’Italia. Piansero per lui ricchi, e poveri, dotti ed analfabeti. Alla sconsolata madre giunsero dispacci da ogni parte. Particolarmente commoventi i messaggi di Tittoni, Scialoja, Paolo Emilio Bensa, Edoardo Maragliano, Antonio Salandra, Filippo Turati, Luigi Gasparotto, Ivanoe Bonomi, Paolo Cappa, Francesco Rossi, Augusto Mombello, Domizio Torrigiani, Francesco Saverio Nitti, Presidente del Consiglio dei Ministri, Camillo Barrere, ambasciatore di Francia, Schanzer, Luigi Luzzati, Ettore Cicotti, Ubaldo Comandini, Rolandi Ricci, Marcora, Angelo Silvio Novaro, Sabatino Lopez, Francesco Flora, insomma tutto il mondo della politica, della arte, dell’ingegno. I funerali furono un’ apoteosi. Il 13 gennaio del 1920 vide i negozi chiusi per lutto in quasi tutte le città della provincia di Porto Maurizio; ed a Sanremo un mesto corteo di 20.000 persone passò per le vie che all’indomani della campagna elettorale recavano ancora insulti cubitali. Centoventi corone precedevano il feretro che, in ossequio al rito massonico, raggiunse la selvetta di cipressi che vegliano le tombe al calar del sole. In un silenzio di tomba i discorsi. Cattaneo e Cassini per gli avvocati di Genova e di Sanremo, Celesia per la Camera dei deputati, il Console di Francia per il suo Governo, ed il Prefetto; Gino Bandini, per la Massoneria pronunciò un’orazione indimenticabile. Trenta giorni dopo la morte, nel teatro Principe Amedeo di Sanremo, Innocenzo Cappa, commosso per l’incarico ricevuto ed umilmente qualificandosi “oratore malvagio” rievocava il nostro Orazio in mezzo alla commozione e al dolore di coloro che lo avevano amato od avversato, uniti tutti con sincerità nella manifestazione di cordoglio che riuscì imponente anche per le qualità eccezionali del celebre parlatore. Raimondo é morto povero come Enrico De Nicola e come aveva preveduto essere fatale ad ogni avvocato onesto in un suo studio critico: “ Artifex additus artifici”. Aveva un po’ di terra in Corso degli Inglesi ed oggi avrebbe un valore enorme; la donò, per testamento, alla Stazione Sperimentale di Floricoltura che un suo fraterno amico, il professor Mario Calvino, poteva “nel nome del Nostro portare a grande dignità, ed a magnifica efficienza”. Nino Bobba.
P.S. Orazio Raimondo aveva espresso la volontà di essere cremato, ed allora, a Sanremo, funzionava perfettamente e da oltre vent’anni quella struttura che era stato il secondo forno crematorio d’Italia, eretto per volere della loggia massonica locale. La struttura era stata, negli anni, ampiamente sfruttata, soprattutto dagli stranieri residenti o ospiti temporanei della città ed era attorniata da un’ampia zona di terreno per custodire le stele delle urne. L’intera area, all’inizio secolo era stata concessa in concordato al Comune dietro l’impegno perpetuo del mantenimento gestionale del forno e della sua attività futura. Non fu permessa la cremazione a Raimondo perché, proprio nelle ore antecedenti alle sue esequie, uno “strano ed improvviso incendio” mise perennemente fuori uso tutto l’edificio. Molti attribuirono la coincidenza, peraltro mai acclarata, alla volontà di qualche suo avversario di negargli questo suo estremo desiderio. D’altronde le amministrazioni dell’epoca e susseguenti si guardarono bene dall’ottemperare al comodato. Solo negli anni cinquanta, e dietro lunghe pressioni anche legali, la costruzione, nel frattempo recuperata come ossario dei caduti della seconda guerra mondiale, fu in parte restaurata e destinala alla conservazione delle urne d’antan che erano state occultate alla rinfusa sottoterra, nel periodo susseguente al misterioso incendio del 1920.
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